Greenwashing

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Greenwashing

La pratica del “green washing” (“una lavata di verde”) rappresenta ancora oggi uno dei principali ostacoli alla transizione ecologica, ed è utilizzata da molte aziende che vogliono nascondere le loro pratiche dannose, soprattutto quelle legate ai combustibili fossili, direttamente relazionati al mercato automobilistico e alla produzione di energia.

Negli anni sono stati contestati casi controversi riguardanti campagne pubblicitarie ingannevoli sulla contaminazione ambientale. Ecco alcuni esempi.

Negli anni sessanta, il colosso americano Westinghouse, in particolare la sua divisione nucleare, è stato messo in discussione per le sue pratiche ambientali. In risposta, l’azienda ha emanato pubblicità che proclamavano la pulizia e la sicurezza delle loro centrali nucleari, le quali sembravano ignorare i casi di crolli nucleari avvenuti nel 1961 e nel 1966. Fu solo nel 2011 che la Westinghouse fu citata dalla Commissione per la Regolamentazione Nucleare degli Stati Uniti per aver nascosto alcuni difetti nei suoi progetti di reattori e per aver fornito false informazioni nelle sue ispezioni, e anche allora, nel febbraio 2016, un altro sistema che utilizzava i reattori del Westinghouse di New York, è stato accusato di gettare materiale radioattivo nelle acque sotterranee locali.

Nel 1980 è la volta della compagnia petrolifera americana Chevron e della sua campagna pubblicitaria “People Do”. Mentre la promozione difendeva l’ambiente, la società era stata accusata di scaricare residui di petrolio in natura. Tuttavia, le campagne pubblicitarie furono così efficienti che nel 1990 vinsero l’Effie Advertising Award, famoso oggi tra gli ambientalisti come Gold Standard of Greenwashing.

Seguendo l’industria petrolifera, nel 1989, la compagnia chimica americana DuPont presentò le sue nuove petroliere con un annuncio pubblicitario, nel quale gli animali marini sbattevano le pinne sulle note dell’Inno alla gioia di Beethoven. Tuttavia, la società fu la più grande inquinatrice degli Stati Uniti. Tra il 1951 e il 2003, si stima che DuPont abbia consegnato quasi 7100 tonnellate di PFOA-C8 nelle acque circostanti dal ​​suo impianto “Washington Works”, al punto da contaminare il fiume Ohio. Nel 2016 l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) ha classificato il PFOA-C8 nel gruppo 2B, che comprende sostanze che possono essere cancerogene per l’uomo.

Un caso particolare, riguardante la pubblicità politica ingannevole, è stato messo in discussione da attivisti in Brasile nel 2020. Con argomenti per generare nuovi posti di lavoro, il governo dello stato di San Paolo ha creato “IncentivAuto”, un programma miliardario che incoraggia l’industria automobilistica con il denaro pubblico. Nel 2018, ciascuna dei 15 milioni di auto in circolazione a San Paolo ha rilasciato 2,5 tonnellate di gas che intensificano l’effetto serra e causano malattie respiratorie. In base all’articolo 225 della Costituzione federale, che garantisce il grande diritto universale a un ambiente ecologicamente equilibrato per le generazioni attuali e future, studenti, genitori e insegnanti, che accusano lo stato di stimolare l’inquinamento atmosferico e di finanziare il riscaldamento globale, se uniti per formare l’azione “Famiglie per il clima”. L’argomento utilizzato sarebbe che, oltre a favorire l’emissione di gas serra, non sono stati considerati gli impatti ambientali e sociali contro le generazioni attuali e future.

Nel 2020 è stata anche la volta dell’Italia con il caso ENI e la sua campagna pubblicitaria circolata tra il 2016 e il 2019. L’azienda è stata sanzionata per aver diffuso messaggi pubblicitari ingannevoli sul carburante ENI Diesel +, sia per l’affermazione di impatto ambientale positivo nel suo utilizzo, sia per economia dei consumi e riduzione delle emissioni di gas. Definito dalla multinazionale come biodiesel, il prodotto è un gasolio per autotrazione che per sua natura è altamente inquinante. Questo nome “green clain” è stato dato dalla presenza del componente HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) che deriva dall’olio di palma grezzo. Al momento l’Italia è il secondo produttore europeo di biodiesel da olio di palma derivato da piantagioni in Indonesia e Malesia, due paesi con alti tassi di deforestazione che sta causando la distruzione delle foreste fluviali e la perdita di fauna selvatica.

La Commissione Europea ha deciso di modificare i criteri di sostenibilità per i biocarburanti di prima generazione nel periodo 2021-2023 con l’obiettivo di abbandonare definitivamente l’uso dell’olio di palma entro il 2030.

Il ruolo del consumatore è stato essenziale per questo tipo di cambiamento. Un sondaggio Nielsen del 2015 ha mostrato che il 66% dei consumatori globali è disposto a pagare di più per prodotti sostenibili dal punto di vista ambientale. Tra i millennial (generazione nata tra il 1981 e il 1996) questo numero sale al 72%. Inoltre, i consumatori hanno sviluppato strategie per intervenire nei consigli di amministrazione delle società, la cosiddetta Partecipazione Attiva (critica) che, grazie all’acquisto di azioni (anche se simbolico), da agli attivisti il ​​diritto di partecipare alle assemblee delle società in qualità di azionisti, convocando l’attenzione dei consigli di amministrazione di grandi multinazionali alle controversie ambientali in cui sono stati coinvolti.

Fonte: https://www.uol.com.br/ecoa/ultimas-noticias/2020/09/29/criancas-processam-governo-de-sp-por-financiar-aquecimento-global.htm | http://www.scienceonthenet.eu/node/19233